Immagine di copertina creata con AI
A Roma, nel quartiere Esquilino, si riunisce a martedì alterni un gruppo di uomini che attraverso il confronto, il dialogo e l’autocoscienza, si interroga sul patriarcato e sulla mascolinità tossica da un punto di vista maschile. Il gruppo è stato fondato il 25 novembre 2023, giornata internazionale contro la violenza di genere, a pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin. Il numero dei partecipanti al gruppo è variabile: come ci ha detto Gianni “al primo appuntamento eravamo in tre per poi arrivare in poco tempo anche a trenta persone“. L’età è compresa tra il 16 e i 60 anni, così che giovani studenti e uomini maturi possano incontrarsi e dare vita a un dialogo intergenerazionale. Questo cerchio di uomini ha accolto positivamente la richiesta di un’intervista per il nostro magazine, durante la quale sono state rivolte due domande fondamentali: come e perché era nato il gruppo e cosa la società nella quale tutti viviamo chiede agli uomini. Da qui è nato un vivace dibattito, durante quale è apparso evidente che esiste un modello maschile di riferimento, ossia quello del maschio alfa, vincente, arrogante, dominante, tutto muscoli e motori, che non deve chiedere mai. Figura quasi mitologica alla quale i partecipanti al gruppo non si adeguano e che cercano di abbattere, manifestando emozioni e sentimenti che spesso la società nega al sesso maschile in base a una logica oppressiva che, come dice Anna Segre, psicoterapeuta e poetessa romana “distingue per genere quello che si può fare, dire, provare, esternare“.
Il prossimo gruppo si terrà martedì 25 giugno a Roma, in via Bixio 85 presso la scuola Federico Di Donato (zona viale Manzoni). La partecipazione è aperta a tutti gli uomini e gratuita.
D. Come e perché è nato questo gruppo di uomini contro la violenza di genere?
Marco: “L’input per la creazione di questo gruppo di uomini è stato il femminicidio di Giulia Cecchettin. A fronte di questo, era sorta l’esigenza di confrontarsi su questioni attinenti al patriarcato da un punto di vista maschile, e quindi di interrogarsi anche su quello che potevamo fare in quanto uomini, in che modo potevamo incidere sulla realtà. Abbiamo iniziato incontrandoci: eravamo persone diverse che stavano facendo la stessa ricerca e casualmente abbiamo iniziato questo percorso, appunto il 25 novembre 2023. Passo dopo passo, non sapendo bene cosa fare esattamente ma con tante idee e tante prospettive diverse abbiamo iniziato a riunirci, dando vita a diverse attività, dall’autocoscienza a ragionamenti più pratici sulla violenza maschile. Siamo in crescita, con ancora tanti interrogativi e tante domande“.
Gianni: “Vorrei parlare di quello che non sono riuscito a esprimere a causa di una certa cultura, ossia il diritto alle emozioni e il diritto all’intimità. Intimità vissuta nel gruppo e anche fra pari, che secondo me è una cosa che la società nega a noi maschi adulti. C’è un momento in cui non si sa perché, a diciassette, diciotto, diciannove anni ci si deve mettere una casacca e non è più il caso di confrontarci tra di noi. Non è maschile farlo. Ho deciso di partecipare a questo gruppo per due ragioni: la prima è parlare insieme della violenza di genere; la seconda, che forse è solo mia, è di poter dire finalmente che mi posso incontrare in maniera intima con i maschi miei simili. Quando sono entrato in questo gruppo, per me ma credo anche per gli altri partecipanti, è sorta una prima domanda: al di là di chi commette queste cose tremende contro le donne, qual è la responsabilità del mondo maschile, di tutto il mondo maschile, della cultura maschile, in relazione a questi eventi terrificanti?
Mi sento di poter dire di aver fatto mio questo interrogativo e anche se con qualche dubbio iniziale, dentro di noi è emersa subito una consapevolezza riguardo questa connessione tra violenza e maschile. Quello che appare evidente è che esiste un sommerso, una base nascosta che sostiene saldamente la cultura patriarcale. Questo è un assunto che abbiamo fatto nostro, tuttavia, a fronte di un quartiere gigante e di una pubblicità diffusa, nel primo gruppo che abbiamo organizzato eravamo solo in tre. Forse questo numero rivela qualcosa sulla percezione della responsabilità maschile nella violenza contro le donne. E’ importante sottolineare che non ci consideriamo diversi dagli altri uomini. Uno degli aspetti su cui ci stiamo maggiormente concentrandoci durante i nostri incontri è come liberarci dei residui di mascolinità tossica, che spesso non sono neppure tanto visibili”.
D. Cosa chiede la società agli uomini, ai maschi?
Marco: “Cosa chiede la società a noi maschi? A questa domanda mi viene spontaneo rispondere che siamo noi la società, noi uomini bianchi etero italiani, intesi come razza italica: siamo proprio noi la cosiddetta parte dominante della società, al di là delle eventuali differenze di classe che certamente contano, ancor più se uno è un lavoratore o un imprenditore o un finanziere o un ricco criminale. Siamo noi che direttamente o indirettamente abbiamo costruito questo tipo di società: che poi a noi del gruppo non ci piaccia o che ci vada stretta è evidente, tant’è che seppure a una certa età, abbiamo deciso di rimetterci in gioco, di discutere, di criticare sia il modello imposto sia il patriarcato, inteso come prevaricazione violenta contro le donne, ma anche come discriminazione verso gli altri uomini. Abbiamo iniziato a confrontarci nel gruppo rifiutando, chi a sedici anni e chi a cinquanta, un modello machista performante e violento; abbiamo iniziato a criticare quello che molti uomini fanno ad altri uomini, analizzando noi stessi in prima persona, perché è evidente che non accettiamo quel modello. Magari l’abbiamo subito, magari l’abbiamo praticato: oggi va di moda la parola bullismo ma è possibile che da bambini, da ragazzini, da adolescenti o da giovani uomini l’abbiamo praticato anche noi. Forse ne siamo stati portatori sani o forse lo siamo tuttora, però cerchiamo con questo gruppo di spezzare quel modello maschilista che danneggia anche noi. Quello che ci siamo detti è che indubbiamente il patriarcato rovina il genere femminile, le trans, ma spesso danneggia anche gli uomini gay o bisessuali o pansessuali, e anche gli uomini etero che non si riconoscono in questo sistema e non ne vogliono essere schiacciati, non vogliono più esserne complici silenti ma invece portarsi dall’altra parte. Quindi cosa ci chiede la società, come maschi? Sicuramente molte cose, perché la società non è univoca, è frammentata, è scomposta: non riesco a darti una risposta precisa, per cui dico: proviamo noi a non aderire a quel modello di società che direttamente o indirettamente abbiamo costruito e che ci vorrebbe uniformati a un ideale machista”.
Adriano: “Anche con riferimento a quello che diceva Marco c’è un’altra questione da valutare rispetto al modello maschile, ossia il suo impatto sulle nuove generazioni. Nel gruppo sono arrivati e partecipano anche ragazzi giovani o molto giovani. La questione che mi pongo, sia come padre e sia come zio di maschi, è quale sia il modo migliore per interrompere la catena di trasmissione della cultura patriarcale, interrogativo che ci poniamo nel gruppo anche in riferimento ai modelli maschili che vengono proposti attraverso i media e i social. In questi ultimi, imperversano personaggi di dubbie ricchezze guadagnate chissà come che sfoggiano la donna come un trofeo. Il maschio alfa iper tatuato fidanzato con l’influencer e alla guida del macchinone: questo è il pacchetto intriso di maschilismo e grondante di patriarcato in ogni atteggiamento che viene proposto, per cui uno degli scopi del nostro gruppo è interrogarsi da uomini, da educatori, da padri su come interrompere la catena della mascolinità tossica e del patriarcato”.
Federico: “Riguardo a quello che mi chiede la società come uomo, mi verrebbe da rispondere in tantissimi modi, però vorrei che la mia risposta fosse il più possibile utile a questo cerchio e alla tua intervista. Io vengo dalla provincia e quindi la società in cui sono cresciuto è quella nella quale la mia mamma, il mio papà, la mia maestra, i miei amici, la mia fidanzatina mi hanno chiesto di essere il migliore, mi hanno chiesto di essere il maschio dominante, mi hanno chiesto di essere il maschio sessualmente più prestante del gruppo, mi hanno chiesto di non mostrare mai alcuna fragilità o debolezza, mi hanno chiesto di competere e vincere e di non chiedere mai scusa. La società mi ha chiesto di prevaricare, di trattare l’amore e il sesso in maniera oggettiva, cioè considerando il femminile e le persone di genere femminile come degli oggetti da conquistare e da possedere e da portare in trionfo nella cerchia ristretta degli amici, ovvero nello spogliatoio. La società mi ha chiesto semplicemente, banalmente, solamente questo, attraverso un ordine talmente basico e leggibile che oggi potrei definire fascista; era facilissimo aderire a questo schema di cose, e la domanda che ora pongo io è: qual è nella società la posizione di un singolo che non sia mai riuscito a portare a termine queste proposte? Quanto contano i continui fallimenti, l’impossibilità di aderire a quel feticcio che era già stato definito da Pasolini negli anni ’60 come un ideale di maschio irraggiungibile, da cui nascono molte delle fragilità che abbiamo qui condivise? Quello che la società ci ha chiesto nella sfera dell’erotismo ancora oggi ripercuote in maniera drammatica sulla mia quotidianità e su quella di molte persone che conosco di genere maschile”.
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